FORLANINI

Il 12 settembre 2010 i volontari di PRIME Italia hanno visitato il centro di accoglienza provvisorio per rifugiati afgani, predisposto nell’ambito dell’emergenza freddo, presso l’ Azienda ospedaliera “San Camillo-Forlanini”. Nei mesi precedenti i media locali avevano riportato diverse notizie sul centro e i vari appelli rivolti dal mondo dell’associazionismo al Comune di Roma e a tutte le istituzioni competenti affinché ne scongiurassero la chiusura. La prima notizia di un imminente sgombero era stata data nell’aprile 2010. L’emergenza freddo a cui il Comune stesso aveva risposto sistemando adulti e minori all’interno dell’Ospedale era finita, ma rimaneva fortissima l’emergenza umanitaria in quanto gli ospiti del centro sarebbero stati costretti a vagare per la città non avendo il Comune indicato una nuova destinazione. Ad aprile arrivò la proroga fino a fine giugno e a mandato scaduto, Eriches, la cooperativa a cui il Comune aveva affidato la gestione del centro, ricevette la notizia di una nuova proroga fino al 30 settembre.
Nel momento in cui gli scatti sono stati realizzati l’incertezza sul futuro -considerando l’imminente scadenza della proroga concessa dal Comune -era fonte di forte preoccupazione e delusione. Il centro ospitava oltre 100 persone di nazionalità afgana. Una buona parte di loro ha raccontato la propria storia, il lungo viaggio verso l’Europa e l’arrivo in Italia. Molti di loro avevano vissuto nella “Buca” per diversi mesi e lì avevano lasciato connazionali e amici. Alcuni frequentavano corsi di lingua italiana o altri corsi di formazione, una minoranza impiegava la propria giornata facendo volantinaggio e ritornando al centro la sera per la cena. Tutti erano preoccupati: preoccupati per l’alloggio, per il lavoro, per il futuro, per la scarsa possibilità di integrazione, per le limitate prospettive di uscire dall’incerta situazione presente. Non è stato facile convincerli a parlare: molti erano stati contattati, fotografati, intervistati da gruppi di giornalisti e associazioni che si erano occupati della “questione degli afgani a Roma” e delle “drammatiche condizioni nella buca”. Eppure nonostante l’interesse, le foto, gli articoli, i video e gli appelli, la loro situazione non era migliorata e la possibilità di tornare di nuovo a vivere in strada tutt’altro che scongiurata. Sono stati ascoltati, informati sull’impegno di PRIME Italia e invitati a rivolgersi alla sede dell’associazione in via Marsala 95 per lavorare sul loro curriculum vitae e cercato opportunità di colloqui di impiego. Alcuni di loro sono stati incontrati di nuovo qualche mese dopo dai volontari di PRIME presso la Casa della Pace, protagonisti loro malgrado della migrazione continua a cui il lacunoso sistema di accoglienza del nostro paese li costringe.