Sgomberato il campo di Ponte Mammolo

Comunicato del 11 maggio 2015

Sgomberato il campo di Ponte Mammolo

Sgombero del campo di Ponte Mammolo. Tre giorni dopo. 14 maggio 2015

La baraccopoli di Ponte Mammolo, situata in Via delle Messi d’Oro, conosciuta anche come “Comunità della Pace” è un insediamento nato in modo spontaneo nel 2003. Nel tempo sono state edificate piccole costruzioni in muratura, legno, cartongesso e baracche in lamiera. PRIME Italia da oltre due anni si è impegnata per dare supporto alla drammatica realtà del campo. Gli interventi avviati sono stati possibili anche grazie al coinvolgimento di Leroy Merlin Roma Tiburtina, che fin dal primo contatto ha manifestato un forte interesse a intraprendere azioni per il miglioramento della situazione abitativa e sociale all’interno dell’insediamento.
 
Grazie al “Progetto del Cuore” di Leroy Merlin in collaborazione con PRIME Italia, è stato possibile realizzare alcuni importanti interventi. E’ stata avviata un’analisi sulla salubrità dell’acqua – inutilizzata dagli abitanti del campo in quanto considerata nociva – che è risultata potabile. Nei mesi di aprile e maggio del 2014 sono stati realizzati corsi di formazione per l’acquisizione di competenze specifiche nell’ambito delle ristrutturazioni degli ambienti domestici (ad es: posa del pavimento, cartongesso, posa di porta e finestre). Alla fine del percorso di formazione un rifugiato abitante del campo è stato assunto attraverso una borsa lavoro. Tutti processi virtuosi che nel 2015 sarebbero stati potenziati grazie a fondi che PRIME Italia è riuscita ad ottenere con diversi bandi.
 
Senza alcun preavviso, ed in poche ore, la baraccopoli è stata smantellata.
Solo poche persone sono state dirottate in alcuni centri di accoglienza. Parliamo di 50 stanziali circa (Rifugiati e Titolari di Protezione Internazionale), circa 350 transitanti; di questi, circa 70 tra donne e bambini.
Per un totale di 400 persone. 

L’obiettivo di PRIME Italia, fin dall’inizio è sempre stato quello di arrivare a rendere inutile la presenza del campo, ma facendolo in maniera corretta, partecipata e graduale considerando che gli abitanti sono persone traumatizzate e in alcuni casi vittime di tortura.
 
Questo sgombero è stato deciso in modo unilaterale.
 
PRIME Italia, condanna con forza la gestione di quanto avvenuto e chiede all’assessore alle politiche sociali di Roma Capitale, Francesca Danese, e all’Assessore alle politiche sociali del IV Municipio, Maria Muto, le ragioni di tale improvvisa accelerazione e della totale mancanza di consultazione con la società civile che per anni, in assenza assoluta delle istituzioni, si è occupata della vita di queste persone.

Ponte Mammolo prima dello sgombero

 

Articoli:

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22 maggio 2015
23 maggio 2015
27 maggio 2015

 

Interviste:

Fabiola Zanetti a Sky Tg24

Fabiola Zanetti a TeleRoma56

 

Fabiola Zanetti a FaiNotizia


 

1 Response

  1. Ma c’è qualche impedimento a mettere in campo un ragionamento laicamente (o religiosamente) umano difronte a questi accadimenti? Lo sgombero di Ponte Mammolo ha innescato solo una girandola di chiacchiere dove tutti si sentono in dovere di dichiarare da che parte stanno, con i dovuti distinguo e doverosi “ma anche”. Ma è possibile che abbiamo smarrito la capacità di guardare a queste cose solo con l’occhio della nostra umanità?
    Non c’è da schierarsi, non c’è da prendere alcuna posizione, non ci sono etichette da dare o da ricevere. Stiamo parlando di persone, di individui con una storia tremenda alle spalle, resi clandestini o transitanti da uno stato e da una burocrazia diabolicamente geniali nell’inventare sempre nuove formule per impedire un normale (e auspicabile) percorso di integrazione. Sono persone che se accolte e ascoltate ci farebbero dimenticare in un attimo le sparate di Salvini o il cerchiobottismo del PD. Ci farebbero dubitare di una politica sempre più china su se stessa e povera di contenuti. Ma guardiamoci un po’ indietro: la razza umana è progredita proprio grazie all’integrarsi di etnie e culture diverse, è cresciuta con le grandi migrazioni di cui è costellata la storia del mondo, la somma di costumi e razze è diventata nel tempo una moltiplicazione di saperi e di sviluppo, anche economico. E ora in pieno terzo millennio che cosa vogliamo fare? Chiuderci nel castello e invocare la coperta corta solo per non aiutare delle persone meno fortunate di noi?
    Avevo 16 anni ed ero volontaria in un centro ricovero immigrati nella periferia di Milano, insegnavo a leggere e a scrivere a dei padri di famiglia, perché uscire dall’analfabetismo era condizione essenziale per trovare un lavoro; erano lucani, siciliani, veneti, napoletani e calabresi ospitati in baracche non molto diverse da quelle di Ponte Mammolo, baracche che sono state sgombrate guarda caso nello stesso modo, con le ruspe per dar modo a qualche costruttore di fare affari d’oro con alloggi “popolari”. Correva l’anno 1971 e li chiamavano terroni, li tenevano lontani dalla vita civile, dalle scuole e dall’assistenza sanitaria, erano clandestini nella loro stessa patria. Oggi che il concetto di patria sì è gonfiato di orgoglio, sta forzando confini e tende e di universalità che facciamo? Chiudiamo la porta in faccia a persone in difficoltà che sono alla ricerca di una speranza, di una possibilità. Chiudiamo la porta e chiudiamo anche gli occhi, ci bastano i commenti dei giornalisti, i soliti sproloqui da talk show per sentirci a posto, per dire che è l’Europa che non fa. Ma attenzione i massimi sistemi e lo spostare sistematicamente il problema su un piano politico, sono alibi belli e buoni, in realtà tocca ad ognuno un po’ di quell’agire che serve per far cambiare rotta anche all’Europa. Lasciamo ai sociologi e agli esperti il compito di disegnare percorsi di inclusione sui grandi numeri e riprendiamoci, ognuno come può, il compito di accogliere e sostenere. Per questo il lavoro di Prime Italia, come quello delle altre onlus nel campo di Ponte Mammolo, era ed è prezioso, è il punto di partenza giusto, misurabile, concreto e sanamente umano. Ragazzi non smettete, le ruspe possono tirare giù delle baracche, ma non la vostra volontà di amicizia e di sostegno reale per quelli che in maniera spesso un po’ troppo sbrigativa chiamiamo rifugiati.